Lorenzo Merlo: “L’ecologia profonda sta nel sentire e non nel conoscere…” – Ecco come si salva la specie umana..

“Uscire fuori dalla morsa si può… se lo si vuole fortemente” (Saul Arpino)

Ante Scriptum
Con piacere condivido questo messaggio di Lorenzo Merlo, anch’egli come me membro della Rete per l’Ecologia Profonda. Le sue tesi mi trovano in sintonia, soprattutto quelle sul merito del “sentire e non del conoscere”. Infatti è mia opinione che l’ecologia profonda -come la spiritualità laica- può e deve essere fonte di pratica sperimentale e non può rientrare in un qualsivoglia filone di studio ideologico…

Certo, alcune parole sono necessarie per indicare il contesto in cui questa “filosofia di vita” è inserita, magari possono essere parole poetiche, oppure anche descrizioni aneddotiche o di esperienze dirette, ma un manuale di indicazioni tecniche o scientifiche che sanciscano le qualità dell’Ecologia Profonda non avrebbe senso. Insomma Ecologia Profonda e Spiritualità sono -secondo me- la stessa identica cosa.

Spesso infatti -in chiave religiosa- ho paragonato la teologia e le scritture all’ecologia di superficie mentre l’ecologia del profondo può essere rappresentata dall’esperienza mistica.
(P. D’A.)

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Caro Paolo D’Arpini,
le tue note hanno il segno delle nostre più apprezzabili intenzioni e hanno quello che esprime, almeno simbolicamente il cosiddetto cambio di paradigma. Bene. Questo tipo di argomento a mio avviso, ripeto tutto idoneo a rappresentare le nostre intenzioni, è però una sorta di descrizione dell’esigenza che abbiamo.

Non che la descrizione non sia opportuna qui e di questi tempi. E’ che la descrizione, in quanto tale, è un fenomeno razionale. Se così fosse, è vero, parlerebbe a coloro che già sono sul pezzo, ma mancherebbe di essere provocatorio – in senso lato e in senso buono – di quelle esigenze necessarie nei confronti di chi ancora non le ha. Esigenze necessarie per realizzare in noi stessi la tenzone utile al cambio di registro individuale.

Le esigenze sono nel dominio dei sentimenti. Non a caso infatti anche tu ne fai cenno. Non hanno a che vedere con il campo razionale, se non – appunto – quando sei pronto per poterla trattare, maneggiare, sezionare, analizzare, coniugare, interpretare, riconoscere e descrivere.
L’esperienza non è trasmissibile, è questo il nodo della questione. Avere consapevolezza della verità implicata nella formuletta, ci permette di elaborare un linguaggio aggiornato via via eppiù alle esigenze dell’interlocutore. Ci permette di riconoscere la nostra posizione e di modularla in modo funzionale all’interlocutore. Ci permette in sostanza di evitare di credere di avere comunicato qualcosa solo perché l’abbiamo bene descritto e l’abbiamo bene in corpo.

Siamo avvezzi a credere che l’esperienza sia trasmissibile, in quanto forgiati da una cultura particolarmente intellettualistica, dove il sentimento appartiene ancora al regno delle streghe del soggettivo. Se si pensa che ancora si crede all’oggettività del mondo si comprende quanto le verità del sentimento siano finora state castrate, spesso da noi stessi per primi.
Solo nel caso in cui il nostro interlocutore già dispone della nostra stessa esigenza, allora pare che l’esperienza sia trasmissibile. In quanto riconosce al dettaglio e oltre il senso stretto delle parole impiegate, il significato al quale tutte alludono. Come il tifoso che abbraccia il suo vicino sconosciuto al momento del goal, e per di più sentendo amore.

Tutto ciò per dire che finché non abbiamo l’esigenza non possiamo tendere alla consapevolezza. Per dire che l’esigenza è provocata in noi in modo serendipitico ed euristico. Per dire che il modo diretto è una sorta di ideale al quale diamo la priorità. Per dire che saper aspettare, cantare, ballare, sorridere e amare dovrebbero far parte dei nostri modi di fare più di quanto non accada ora.

Lorenzo Merlo
(tofeelnottoknow)

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